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Maschere
& Mascherine
a cura di Ketty
Fragalà
Ho
vissuto questo particolare momento di lockdown in maniera, tutto
sommato, serena. A me piace stare a casa e l'ambiente comodo e
tranquillo non mi ha fatto sentire molto la mancanza dello stare
all'aperto. Ho organizzato le mie giornate in modo ordinato e ho
affrontato con fiducia e speranza la lontananza fisica da amiche,
amici e, soprattutto, dai figli, anche se ancora non so quando potrò
rivedere mia figlia che vive e lavora a Dublino. Ho tenuto un diario
di questi giorni in cui ho annotato ansie, paure, ricordi,
sensazione, attese. Giorni che si sono succeduti quasi in fotocopia,
giorni strani lunghi e veloci al tempo stesso, scanditi da attese per
il bollettino delle 18 e da attese per le videochiamate con figli e
nipoti. Questi mesi sono volati e siamo arrivati quasi alla fine di
maggio.
Spinta dai figli,
dalle amiche, da mia sorella che temono che io stia sviluppando la
"sindrome della capanna", qualche giorno fa sono finalmente
uscita. Ho indossato la mascherina e… via. Camminavo a piedi in una
Soverato quasi deserta, con una mascherina che mi dava un senso di
soffocamento e vedere anche altre persone con la mascherina mi ha
dato un senso di disagio. Il distanziamento, il vedere l'altro come
potenziale portatore di virus, ha invalidato la gioia di stare
finalmente fuori casa. Non ho parlato con nessuno:con la mascherina,
gli occhiali, i capelli raccolti pochi mi hanno riconosciuta, poche
sono state le persone che io ho riconosciuto. Ho sentito il desiderio
di rientrare a casa e mi sono detta che già ogni giorno ognuno di
noi indossa pirandellianamente una maschera per frantumare il nostro
io in molteplici identità per poterci adattare al contesto e alla
situazione sociale in cui ci si trova e quindi, basta maschere!. Ma
poi cosa è per me, per noi, la maschera? È un paravento per
nasconderci o dietro la maschera ci sentiamo più leggeri, più
invisibili, più liberi? Portiamo ora le mascherine per difenderci da
un eventuale contagio, ma quante maschere abbiamo che non sono dovute
alla pandemia:la maschera del pregiudizio, del rancore del disprezzo
per chi è diverso da noi. Giudichiamo ed etichettiamo gli altri
facendoli frettolosamente rientrare in degli schemi senza veramente
conoscere chi stiamo giudicando, emettiamo impietose condanne. Per
liberarci da tutte queste maschere che condizionano il nostro vivere
sociale dobbiamo imparare a riscoprire il valore dell'osservazione,
imparare a leggere il linguaggio non verbale, imparare a riflettere,
ad ascoltare e soprattutto, come scriveva Pirandello, dobbiamo
metterci "nelle scarpe degli altri".
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